a
Grado
Quando a Grado si andava con il treno
e il battello
Alla fine dell’Ottocento le comunicazioni tra Grado e la
terraferma si svolgevano ancora per via mare. Alcuni
vaporetti facevano infatti la spola tra Belvedere e Grado
per trasportare merci e passeggeri. Nel 1900, in occasione
della visita dell’imperatore Francesco Giuseppe a Gorizia,
il podestà di Grado Giacomo Marchesini riuscì ad ottenere da
lui un’udienza nella quale chiese l’approvazione al progetto
di scavo di un canale navigabile che rendesse più facile e
veloce la navigazione. Il problema fu preso a cuore dal
sovrano tanto che dopo solo qualche giorno a Monfalcone
iniziarono i lavori per la costruzione di una draga per lo
scavo ed in breve partirono i lavori sul posto. I turisti
arrivavano con il treno a Cervignano e dovevano proseguire
con la diligenza fino a Belvedere.
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Solo nel 1910 fu inaugurato il tronco ferroviario Cervignano-Belvedere
in modo
da rendere possibile il viaggio diretto da Vienna a
Belvedere, con evidenti vantaggi per Grado. Con il materiale
di scavo del canale fu costruita una strada che risultò poco
più di un argine con un ponte di legno sul canale
prima di entrare in Grado. Si pensava addirittura ad un
prolungamento della ferrovia fino a Grado, ma le lungaggini
burocratiche fecero si che si arrivasse allo scoppio della
prima guerra mondiale senza aver dato l’avvio ai lavori. Si
dovette arrivare al 1934 per dare invece l’avvio alla
costruzione della nuova strada e del ponte girevole che
congiungessero Belvedere con Grado. I lavori si conclusero
nel 1936 ed il tronco ferroviario Cervignano-Belvedere
rimase attivo fino allo scoppio della seconda guerra
mondiale. A Belvedere rimane ancora in piedi la piccola
stazione ferroviaria di allora.
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Inizio dello
scavo del canale e della costruzione dell'argine Grado-Belvedere,
1905
Come racconta la Bianca Negri Zanottevich : "...Poi, finalmente, a
metà degli Anni Trenta, ecco la terraferma tendere un braccio a
rassicurare quel naviglio di sabbia che era l'isola di Grado. lo ne
ero particolarmente felice; molte volte, tra le mie mille paure,
avevo temuto che le tante tende quadrate confitte nella sabbia della
spiaggia, gonfiate dagli impeti del vento, potessero trasformare
l'isola in un veliero veloce che si allontanasse fra le onde, per
sempre. Ricordo la letizia del giorno dell'inaugurazione, in un
fresco mattino di sole; la mia sottanina bianca dell'immancabile
vestito alla marinara, che garriva nel vento; la gioia soddisfatta e
commossa di papà, appena abbrunata dalle lucide frange nere di una
malaccetta divisa; i folti capelli della mamma, scompigliati dai
rabbuffi dell'aria leggera; qualche discorso d'occasione, cui non
avevo prestato la minima attenzione intenta piuttosto ad assaporare
la gioia della sicurezza nel sapere il mio sogno ancorato per
sempre. A partire da quell'anno, i ricchi villeggianti potevano così
farsi seguire più agevolmente dai loro beni, scaricando compiaciuti
dalle grandi macchine scure bagagli a non finire; scendevano dagli
alti scalini delle vetture di allora donne squittenti, uomini
taciturni, balie, bambini e cani. In quegli anni, la spaccatura che
si frapponeva tra quel pesante fiume di oro e la rassegnata povertà
della gente di Grado, che si assiepava aprendo bocche sdentate in un
mesto sorriso di saluto, era davvero incredibile, e quanto mai
dolorosa!
Ricordo che, in tarda serata, quando ci staccavamo dal viale
illuminato per raggiungere il nostro albergo attraverso strade
appena appena rischiarate, trovavamo molto spesso ad attenderci
nella penombra della via, seduti su di un basso scalino, schiacciati
contro la rigogliosa siepe di ligustri fioriti, tre ossuti
ragazzini, molto piccoli, arsi dal sole e dal vento; aderivano uno
all'altro come rondinotti affamati: così scuri ed esigui,
difficilmente venivano notati; solo i loro piccoli crani a forma di
pinoli si lasciavano scorgere, perché stranamente azzurri, sotto la
rapatura crudele. Ci aspettavano, perché volevano "cantare per noi":
si trattava di canti "a tre voci", eseguiti con impeccabile e
sapientissimo intuito polifonico: canti desolati e sommessi. sotto i
quali pulsava sempre !'implacabile ritmo del dolore: canti di morte,
e di amore senza speranza. Si davano gli "attacchi", questi tre
piccoli aedi della notte,
pungendosi l'un l'altro le costole, brevemente, con gli scuri gomiti
acuminati; poi. quando avevano esaurito il loro esiguo repertorio,
restavano stranamente rigidi, con lo sguardo basso fisso al
selciato, come fossero di pietra. Allora papà, con gli occhi
copiosamente irrorati dalla commozione, poneva nelle loro mani del
denaro, denaro che pareva superare sempre l'attesa; in un attimo, i
tre menestrelli sparivano velocissimi inghiottiti dal buio, con un
corsa ovattata, a piedi nudi, che pareva di furetti stanati. Ricordo
questo episodio gradese come il più importante che ci fosse occorso
durante quei tranquilli anni di pace; e l'ultimo, anche, prima che i
terribili squarci della guerra ci costringessero nelle nostre comuni
abitazioni cittadine a consumare nella paura il nostro denso
rimpianto.
Quando, con il passar degli anni, diradatesi a poco a poco le male
polveri del conflitto, e ritrovandoci noi tutti insperatamente
incolumi, eravamo potuti ritornare nell'antico paradiso delle nostre
estati felici. lo avevamo fatto quasi ad occhi socchiusi, nel timore
che nuove realtà fossero venute ad alterare le immagini da noi così
gelosamente custodite. In parte, queste nostre paure si erano
rivelate fondate: dalle brevi finestre il mare si concedeva ormai a
piccoli tratti, in geometrie avaramente frazionate da nuove
costruzioni; molti dei verdi riquadri d'erba alta agonizzavano sotto
imprese laboriose; un benessere di nuovo conio si era sostituito a
certe leggendarie immagini di opulenza, e, offrendo con Una mano e
sottraendo con l'altra, aveva limato le punte dei troppi eccessi, ma
aveva anche involgarito certi aspetti, con americana abilità. Così,
la povertà di un tempo, la nobile e scabra povertà che abitava
questo lungo nastro di sabbia assolata, aveva finalmente conosciuto
nuovi conforti; ma, scordando le trascorse asprezze, aveva lasciato
spegnere, forse per sempre, le scaturigini del suo sommesso canto di
dolore... "
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@nonnoenio
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