in Trentino
IL CASTELLO
DI SABBIONARA D'AVIO
Secondo
alcuni studiosi di linguistica delle antiche popolazioni celtiche che
abitavano le zone alpine prima dell' arrivo dei Galli Cenomani, ai
quali si sarebbe debitori della storia più antica di Trento, Awi e
Brentoni non sarebbero nomi di centri abitati, ma indicazioni generiche
di popolazioni primitive; Awi significherebbe abitatori della palude, o
meglio delle ischie (isolette) del fondovalle; Brentoni invece abitatori
delle selve montane. Considerando che le genti antiche avevano poca
dimestichezza con le idee astratte ed il loro linguaggio si riferiva
evidentemente ai fatti concreti e quotidiani della loro vita, la
interpretazione dei due nomi mi sembra la più accettabile È noto
ancora che i Romani hanno conservato in genere le denominazioni dei
centri abitati preesistenti alla loro dominazione esempio chiaro è
Verona, nome galloceltico che significa la città
dell'
orso - per cui è nella logica storica che i nomi siano stati conservati
superando poi tutte le vicende delle successive epoche storiche. Che il
fondovalle fosse paludoso è un dato pacifico; l'Adige scorreva in tutto
il pianoro in uno o più letti di portata variabile e mutabili a seconda
delle stagioni e delle varie piene ricorrenti; si può presumete che
dopo aver costeggiato la riva sulla quale sorge la Chiesa di S. Pietro
ed aver superato la breve ripida del Vegrom ed aver raccolto il rivo
perenne dell' Acqua Sagra al Vò, le acque del fiume si riversassero
nella piana di Avio per ricevere le acque del rio Aviana e disperdersi
poi tra i prati Cerni (Sarnis), San Leonardo, Borghetto e Mama (che pure
significa palude). Le comunicazioni tra la pianura e la valle dell'
Adige non dovevano essere certamente facili, esclusi forse i periodi
in cui si poteva praticare la navigazione del fiume. Risalendo da
Verona, superata la Chiusa si potevano percorrere ambedue le strade;
quella sulla riva sinistra, che attraversava Dolcè e Pyri, oppure
quella più agevole sulla destra attraverso Rivoli, Rivalta e Belluno.
Nell'antichità peraltro la via sulla sinistra deve essere stata di
difficile transito, sia perchè i brevi rivi che scendono a valle
attraverso forre franose dovevano rendere spesso malsicura ed
impraticabile la
strada, posta a mattina e perciò soggetta anche a lunghe gelate invernali,
sia più tardi durante l'epoca romana perchè le popolazioni dei Lessini
non essendo mai state completamente romanizzate non ispiravano troppa
fiducia. Se ne accorse Federico Barbarossa, che attorno a Ceraino si
prese nel 1154 una gran paura, e lo constatarono più tardi gli stessi
Veneti,
che ci misero del bello e del buono a convincere i Cimbri dei 13 Comuni,
la cui punta occidentale era Breonio, a non considerare di loro proprietà
quello che passava sulla strada del fondovalle.
La
via più facile deve essere sempre stata quella che correva lungo la
riva destra, in posizione abbastanza elevata e perciò sicura dalle
conseguenze delle piene stagionali del fiume e che, per quanto riguarda Avio, dopo aver superato il rivo di Belluno ed attraversati i prati Schiaparoli a sud di Mama, raggiungeva la Pieve, unendosi alla strada
pure antichissima; che scendeva dal Monte Baldo, per proseguire, dopo
aver superato l'Aviana, attraverso gli abitati di Stropeia, di Vigo,
salire leggermente verso Fusio ( Foss ) e scendere poi verso Campiglio e
Pilcante, oppure con altro ramo attraversare l'Adige al Vò ed unirsi
alla via sinistra per dirigersi verso Ala. I Romani avevano tracciato
due vie militarmente più sicure per superare la Chiusa; a sinistra
attraverso la Valpolicella per la valle Pruviniana che scendeva da Breonio a Pyri, attraverso il passo Pyr; a destra attraverso Caprino e
Ferrara del Monte Baldo per l'altipiano di Piacenza (Piasenza ) ed il
passo del Campion scendeva lungo la Val Domenegal (la valle del Padrone)
per unirsi alla strada del fondovalle alla Pieve. La prova che questa
fosse una via antica ed importante l'abbiamo nel più antico Statuto
della città di Verona del 1248, il quale all'art. 182 prescrive
l'obbligo del Podestà di Verona (i podestà a quell'epoca erano i capi
dell'amministrazione civile e giudiziaria della città) a mantenere
praticabile e difendere la via del Monte Baldo fino ad Avio. Del resto
il legname, il carbone di legna e la pece erano molto importanti per
Verona che doveva la sua ricchezza al controllo della navigazione
sull' Adige ed ai servizi che doveva garantire a questo importante
settore delle comunicazioni. Non è possibile in questa sede dilungarsi
oltre, ma quanto detto è sufficiente a dimostrare l'importanza della
posizione di Avio per tutti i traffici della vallata dell'Adige.
Interno
del castello
I
CASTELLI NELL'ANTICHITÀ Moltissimi
dei più antichi castelli sorgono su precedenti posizioni fortificate
romane, che a loro volta spesso corrispondevano a originari insediamenti
preistorici. Il « castrum » in tempo di pace aveva il compito di
presidiare le vie su cui dovevano passare in tempo di guerre e di
perturbazioni le legioni militari, ed in tempo di pace il commercio e
gli scambi. Esso era sempre una posizione fortificata facilmente
difendibile anche da modesti presidi normali, attorno ai quali
vivevano gli artigiani del ferro e del legno, così importanti nella
vita militare, e c'erano il molino ed il forno per la cottura del pane.
In esso v' era poi il deposito del sale, così importante per la vita
dell'uomo e degli animali e per la conservazione dei cibi, talmente
importante che la paga del soldato romano si chiamava «salarium» (
cioè una razione di sale o quanto era sufficiente per procurarsela ).
Tutto il resto, grani, vino, legname, calce viva etc., doveva essere
prodotto in loco, ed ogni castrum doveva poter contare su una propria
autarchia economica. Anche il castello degli Awi corrisponde a questi
requisiti. Esso è posto su una 'collina sicura, inaccessibile agli
eventuali invasori, a guardia de]l'antica via che collegava Verona e la
pianura padana con Ala ed i territori meridionali del Trentino, ha
attorno a se una porzione di vallata dell' Adige assai ampia con
terreni fertili per la coltivazione dei grani (saraceno, frumento,
segale), colline per la produzione del vino e di olive, prati sulle ischie che davano fieno e canapa per tessere la biancheria, e sulle
montagne sovrastanti pascoli per il bestiame e selve per il legname. Il
territorio è ridotto, ma per una guarnigione modesta attorniata dal suo
gruppo di famiglie esso era più che sufficiente. Caduto l'impero romano
sopravvennero le popolazioni barbariche - goti, eruli, unni etc. -
che distrussero il distruggibile; giunsero infine i Longobardi che
passata la prima furia seguita alla conquista ed accortisi che di rapina
non si può vivere a lungo, misero un po d'ordine, rimettendo in sesto
quel minimo di organizzazione amministrativa, di cui le ridotte
popolazioni sopravvissute ai massacri avevano conservato il ricordo dai
tempi dei Romani, soprattutto per opera della Chiesa. Il monte Baldo in
tutta la sua estensione apparteneva allora a Verona, circoscrizione
della giudicaria prima di Sirmione e poi di Garda, e ne è chiara prova
la circoscrizione religiosa diocesana, che sopravvisse fino al 1796, che
ricalcava in genere le antiche suddivisioni amministrative di Roma. Gli
abitanti di Avio e di Brentonico, come ci appare chiaramente dal Placito
- cioè l'assemblea dei maggiorenti del ducato, - giudici e sculdasci
franchi e longobardi - tenuto a Trento nell'anno 845, mentre regnava Clotario, secondo successore di Carlo Magno, per giudicare le legittime
pretese del Monastero (Xenodochio) di S. Maria in Organo di Verona,
dipendevano economicamente per quanto concerne la proprietà dei boschi
e dei fondi da detto Monastero, che era illegittimo erede del duca Lupone di Verona, cui probabilmente la Signoria sul Monte Baldo era
pervenuta per investitura degli Imperatori Franchi. Peraltro sul piano
civile sia Avio, che Brentonico appartenevano al Ducato longobardo di
Trento, e perciò questo placito, che ne costituisce la prova storica,
si era tenuto in . questa sede. Dopo l'anno 845 vi è un periodo di
silenzio di almeno due secoli e per sentir riparlare di Avio dobbiamo
arrivare fino all'anno 1028, quando il monaco Gotschalk, benedettino
bavarese, aveva attreversato le Alpi ed era sceso fino a Verona per
ottenere alcune reliquie di S. Anastasia da quel Vescovo. Nel ritorno
egli era stato ospitato nel castelliere di Awi, che perciò a quel tempo
doveva essere abitato.
Veduta dal
basso del maniero
IL
CASTELLO DI SABBIONARA D'AVIO In
questi due secoli però erano successe tante cose spiacevoli. Ai
Longobardi, insediatisi anche tra noi, erano successi i Franchi de Baviera,
per cui Trento era entrato a far parte di questo ducato
del quale Verona era
una Marca ( contea di confine ); tra il 900 ed il 955 scorazzarono nella
pianura padana gli Ungari, provenienti dalla Pannonia, coraggiosi ed
avidi, che giunsero fino nel Bresciano. Le popolazioni locali per
difendersi si rifugiarono negli antichi castellieri, fino allora poco
più piccole scolte murate, munendoli di solide mura, di torri elevate
e possibilmente inaccessibili ed intaccabili ai mezzi bellici di allora,
e comprendenti uno spazio sufficiente ad accogliere per periodi
abbastanza lunghi il maggior numero di abitanti della zona. Anche
l'antico castello degli « Awi » ha queste caratteristiche e
probabilmente attorno al 1000 doveva essere già definito nella sua
estensione. Del Castello si torna a parlare nel '200, quando salito
sulla cattedra di S. Vigilio il Vescovo Federico Wangen, si pose mano
al riordino degli antichi diritti del Vescovado sia «in spiritualibus
»
che « in temporalibus » ( cioè giurisdizione religiosa e quello
principesco civile ). Il Wangen era una grande personalità e divenne
Vicario imperiale, cioè oltre che vescovo di Trento, era una delle
massime autorità civili in Italia, con sede a Verona. Egli approfittò
di questa sua veste per ridare al suo Vescovado la certezza dei suoi
confini, nella sua veste di erede dal 1027, dell' antico ducato
longobardo e poi contea franca di Trento. Nel 1212 egli aveva ordinato
la ricognizione degli antichi diritti del Principato vescovile nella Val Lagarina ed in tale sede era stato accertato che,
Val Lagarina benché
religiosamente legata a Verona, nella Pieve di Avio erano soggetti alla
Signoria trentina « il Castello di Sabbionara assieme ad alcune Arimannie ( leggi Masi ). Del Castello era stato investito nel 1214
Martino da Pergine, un fedele vassallo trentino, che certamente
esercitava Ie funzioni di Vicario - cioè di giudice - sulle popolazioni della
sua giurisdizione, che si estendeva da Mama, forse da Belluno, fino a S.
Lucia di Pilcante compresa.
Forse la fortuna
iniziale di questo castello fu dovuta anche al fatto che durante le
lotte di espansione di Verona nella Valle dell'Adige, prolungatesi
dagli ultimi decenni del 1100 fin verso il
1220, il conte Bonifacio, capitano dei veronesi, aveva distrutto nel 1211 la rocca di Ossenigo - l'antica longobarda cohors Ursinici feudo trentino di cui
era investita da circa duecento anni la famiglia veronese dei Turisendi,
.allora una delle più eminenti di parte imperiale di questa città.
Esistono infatti alcuni documenti delle investiture trentine di questa
rocca, posta ai limiti meridionali della terra di Alla, ai Turisendi e
risalenti al periodo tra il 1180 ed il 1218, sui quali si può
pacificamente fondare l'appartenenza di questa rocca di confine, e
probabilmente dazio trentino, al principato ves covile di Trento fin
dalla sua fondazione certa, e cioè dal 1 027. E da allora in poi i Turisendi, pur abitando prevalentemente a Verona furono sempre legati a
Trento fino al 1218, quando furono privati di questo feudo,
probabilmente per la loro incapacità a difenderlo. Il Martino da Pergine perciò fu inviato ad Avio per sviluppare l'antico castelliere e
fame un centro sicuro del potere temporale trentino ai confini dell'
antico ducato, favorito in ciò dalla posizione favorevole per la difesa
ed il controllo della vallata e forse anche dalla presenza di nuclei
di popolazione di diritto germanico, come si può dedurre dalla presenza
di certo antichissima delle chiese e dei cimiteri di S. Vigilio -
patrono della diocesi di Trento - a Sabbionara e di S. Martino (franco)
a Vigo di Avio.
Interno
del castello, particolare della cinta muriaria OBBLIGHI
DEI VICINI NEI RIGUARDI DEL CASTELLO Tutti
gli abitanti della giurisdizione avevano l'obbligo di fornire al
castello il legname e le opere necessarie per la sua manutenzione in
piena efficienza, nonchè il fieno necessario per il bestiame - cavalli
e muli - alla guarnigione ed al Vicario. Il Castellano inoltre aveva
diritto ad alcune regalie, soprattutto in bestiame e burro e gli era
riservata la pesca nel rivo dell'Acqua sagra. Gli Aviensi vi
provvedevano con il patrimonio comune delle Regole; tali obblighi
rimasero praticamente
in vigore fino all'epoca moderna e se ne discuteva ancora alla fine
del 1600. Se all'inizio essi erano stati accettati volonterosamente,
in quanto assunti in sede di costruzione del castello quale centro di
difesa delle popolazioni locali, che probabilmente dapprincipio
eleggevano i loro capitani e i custodi del castello, una volta divenuto
questo sede della Signoria civile e della relativa guarnigione
militare, del tribunale con relativo carcere annesso, nonché residenza
splendida relativamente alle dimore primitive dei nostri antenati, il
senso della cura del castello si era affievolito e l'onere era rimasto
tollerato come una imposta locale, e tutti sappiamo come siano amate e
gradite le tasse. Peraltro finché il Castello rimase sede militare
della potenza locale anche questi diritti e rispettivamente obblighi si
conservarono.
PASSAGGIO
DEL CASTELLO AI CASTELBARCO I
discendenti di Martino da Pergine tennero la Signoria del Castello
fino all'anno 1254, quando essi cedettero il loro feudo ai Castel Barco. Questa famiglia aveva già da almeno un secolo interessi ad A vio
e Brentonico, in quanto assuntrice delle decime dovute dai fedeli delle
sue Pievi al Vescovo di Verona, almeno secondo autorevoli fonti - dal
1155. Essi erano poi proprietari di Castel Barco (Chiusole ) e nel 1202
il Vescovo di Trento Corrado di Beseno li aveva investiti, in persona
di Briano, delle decime vescovili della terra di Ala, da sempre appartenuta alla diocesi trentina, e che si estendeva dal versante sud
del monte Zugna fino a S. Leonardo. Briano di Castel Barco si può
considerare il consolidatore della potenza Castro barcense nella VaI
Lagarina avendo trasformato le sue proprietà in feudi trasmissibili
in linea ereditaria, ma sottratti al libero commercio, unificando così
il dominio del suo casato da Aldeno fino ad Ossenigo e Belluno. Che il
centro del potere locale fosse il nostro castello risulta chiaramente
dal verbale di approvazione dello statuto della villa di
Pilcante
del 1372; vi si nomina infatti la piccola core
costituita dal notaio, quale uomo di legge, dall'economo, che ne
amministra le rendite, e dai camerieri addetti. Sia i « da Pergine »
che i Castel Barco avevano provveduto a completare la costruzione del
castello durante tutto il 1200 ed iniziata anche la costruzione del
palazzo baronale con la cappella di S. Michele, di cui sono rimaste
ampie vestigia. I Castel Barco, che da sempre possedevano una loro
dimora a Verona vicino alla chiesa di S. Maria in Organo, della quale il
Baldo era stato antico possesso, studiavano a Verona ed a Bologna, dove
probabilmente si fidanzavano e si sceglievano le spose. Erano infatti
imparentati con le più eminenti famiglie di Verona, di Mantova e di
Bologna, cosa che accresceva il loro ascendente presso le popolazioni
locali. Il castello rimase indubbiamente centro del potere del più
importante ramo castro barcense Avio Dorso maggiore ( Brentonico ) fino al
1411, quando morto Ettore, erede di Azone Francesco, la Repubblica
Veneta entrò in possesso quale erede sostituta, della Signoria di Avio,
Ala e Brentonico. Ala era allora il centro più modesto, non aveva una
cura d'anime autonoma, ed apparteneva alla Pieve di Mori, feudo di altra
linea Castro barcense, quella di Albano.- Nel testamento Azone Francesco
disponeva anche il lascito della sua stanza matrimoniale « fulcita » (i manufatti erano allora costosi e le sete si pagavano a peso d'oro)
alla moglie Agnese d'Arco. Questa rimasta vedova e mortole subito dopo
il marito anche il figlio Ettore, si era ritirata nella dimora castro barcense di Verona, dove dopo qualche anno si era risposata con
Vittore Aymo (Emo), figlio di un grande ammiraglio veneto. Il senato
veneto, esecutore testamentario di Azone, sepolto nella chiesetta di S.
Antonio, dispose la perdita dell'usufrutto vescovile, tra cui vi erano
le decime sui Masi, che passarono agli Amadori - Maiores de Vado, ma
permise alla signora Agnese di portarsi a Verona il mobilio del Castello
di sua spettanza esonerandola dal pagamento dei dazi, cosa che avvenne
nel 1423.
Rappresentazione
del castello risalente al periodo preveneto (1410-1509) Dopo
di allora il castello non fu più residenza dinastiale, ma vi abitarono
sempre i capitani del castello, che probabilmente durante il periodo
castro barcense avevano come loro dimora la cosiddetta casa del capitano,
( o dei soldati ) che ancora possiamo ammirare e che costituisce una
testimonianza importantissima nella storia dell'arte medioevale veneto Iombarda. La Repubblica Veneta aveva fatto abbattere tutti i vari
fortilizi dispersi nei vicariati - il forte di Và, quello di Serravalle,
di Chizzola per concentrare le guarnigioni nei castelli di Sabbionara e di Dorso maggiore (Brentonico ) quest'ultimo incendiato e
raso al suolo nel 1702 dai francesi di Vendom
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